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Coronavirus, cosa è cambiato nelle case di riposo per anziani.

Come è stato sottolineato in più di un’occasione dai media e da tanti virologi intervistati in questi giorni, la popolazione anziana è maggiormente vulnerabile alla minaccia del Coronavirus. A parte qualche eccezione, i dati relativi ai decessi a causa del virus in effetti sembrano confermare questa tragica tendenza. L’età media delle vittime (non dei contagiati) non a caso è di 81 anni. È facile ipotizzare che in pazienti di una fascia d’età alta (over 80) sussistano altre patologie pregresse, come del resto ha anche confermato una ricerca avviata nei giorni scorsi dall’Istituto Superiore della Sanità. Di fronte a tali preoccupanti statistiche, è inevitabile porsi alcune domande. Come è cambiata la vita degli anziani nelle RSA, nelle comunità e nelle case di riposo? Quali misure hanno intrapreso le strutture assistenziali per tutelare gli utenti più vulnerabili? Dopo un’accurata ricerca basata su testimonianze e su alcune fonti giornalistiche, ho provato a dare una risposta a questi quesiti.

Sospensione delle visite.

Rientra tra le misure restrittive imposte dal decreto firmato l’8 marzo dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Può sembrare una decisione drastica, anzi sicuramente lo è. Ma limitare o addirittura sospendere le visite di amici e parenti è senza dubbio la soluzione a mio avviso più giusta al problema. Immagino quanto possa essere doloroso, per un figlio o una figlia, non poter abbracciare il proprio genitore per tanti giorni (e viceversa), ma non bisogna dimenticare che alla base di un provvedimento apparentemente draconiano si cela un principio decisamente più importante: tutelare lo stato di salute (se non la vita stessa) dell’anziano. In alcune case di riposo il virus, purtroppo, ha già fatto il suo ingresso e le conseguenze sono state terrificanti. È il caso di una struttura per anziani di Tortona, in provincia di Alessandria, dove si sono verificati tre decessi, oltre ad una decina di casi sospetti (fonte Il Secolo XIX). In tutta Italia si è così provveduto a sospendere le visite dei parenti, fatta eccezione per alcuni specifici casi (per i pazienti terminali ad esempio). I parenti autorizzati alla visita devono indossare la mascherina, entrare uno per volta in struttura (per evitare affollamenti), e naturalmente non presentare i tipici sintomi del coronavirus (febbre, tosse, problemi respiratori). Per limitare il più possibile il distacco, fisico e psicologico, tra i pazienti e i loro cari, alcune case di riposo hanno attivato servizi di videochiamata tramite Skype o Whatsapp. E’ quanto avvenuto in Emilia Romagna grazie al “Progetto Persona” fortemente voluto dall’Asp (leggi la notizia).

Limitazione nelle uscite.

Oltre al divieto di ricevere visite da parte di parenti e amici, gli anziani, per ovvie ragioni, non possono uscire dalle strutture presso le quali sono ricoverati, tranne che per rarissimi casi come per le visite mediche programmate (e comprovate) o per ricoveri improvvisi non preventivati. Il luogo più sicuro per l’ospite di una casa di riposo, in questo periodo turbolento, è la sua camera. Quella che può sembrare una limitazione tipica di un regime totalitario in realtà è la più sensata forma di tutela verso la persona anziana.

Misure più rigorose per tutto il personale.

Le restrizioni non sono rivolte soltanto agli ospiti e ai loro parenti, ma anche (e soprattutto) a tutto il personale sanitario. In molte case per anziani è stato disposto il divieto di fare ingresso in struttura sprovvisti di mascherina protettiva. Alcuni operatori hanno dichiarato di essere stati sottoposti alla rilevazione della temperatura corporea per scongiurare stati febbrili associabili in qualche modo al virus. In realtà quest’ultima misura risulterebbe poco efficace poiché, in molti casi, soprattutto tra i giovani, è stato dimostrato che il contagio può avvenire in modo del tutto asintomatico. In provincia di Trento, in una RSA di Pergine, alcuni operatori sono finiti addirittura in quarantena per motivi precauzionali dopo che un uomo anziano è risultato positivo al tampone (leggi la notizia).  Le altre misure igienico-sanitarie, come il lavaggio accurato delle mani e l’uso dei guanti monouso, dovrebbero, almeno teoricamente, essere già note a tutto il personale sanitario in quanto si tratta di procedure abitualmente seguite da tutti gli operatori sanitari prima dell’esistenza del virus. La diffusione del Coronavirus, tuttavia, ha reso (credo giustamente) più rigorose queste norme che spero non saranno rimosse quando l’emergenza sarà rientrata.

Marco Amico

Operatore Socio-Sanitario, blogger e giornalista. Ho 37 anni, una laurea in Lettere e Filosofia e la passione per la scrittura, le serie TV, le bici. Lavoro in una casa di riposo e nel tempo libero scrivo articoli d'interesse socio-sanitario.

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